Rosa Pierno – Due prose poetiche

piernoRosa Pierno è nata nel 1959 a Napoli, laureata in Architettura, vive a Roma. Dal 1993 è redattrice della rivista Anterem. È co-direttore, insieme a Gio Ferri, della rivista Testuale. Dirige il blog Trasversale dal 2011. Ha pubblicato i seguenti libri di poesia: Corpi, Anterem, Verona, 1991; Buio e Blu, Anterem, Verona, 1993; Didascalie su Baruchello, Roma, 1994; Interni d’autore, Edizioni Joyce & Company, Roma, 1995; Musicale, Anterem, Verona, 1999; Arte da camera, edizioni d’if, Napoli, 2004; Trasversale, Anterem, Verona, 2006 (Premio Feronia Città di Fiano 2006 Vincitore Sezione Poesia); Coppie improbabili, Milano, 2007 Edizioni Pagine d’arte; Artificio, Robin, Roma, 2012; Corpo in movimento, con fotografie di Josef Weiss, Edizioni Weiss, Mendrisio, 2017; Piantato cosmo, con incisione di Loredana Müller, libro d’artista, Bellinzona, 2017; L’una e L’altra, testi poetici di Rosa Pierno e Gilberto Isella, disegni di Giulia Napoleone e Loredana Müller, Fiorina edizioni, Varzi, 2017; Ortensie, poesie di Rilke e Pierno e incisioni di L. Müller, Edizioni Weiss, Mendrisio, 2018.

Rosa Pierno
Due prose poetiche

Nell’ombra

Dopo aver sistemato il corpo, lo tira verso il basso, ma l’ombra scivola via come un lenzuolo.

La luce le sfugge da tutte le parti. Non riesce a ottenere ombre che seguano una legge prospettica.

Non ha ben affondato alcune parti nell’oscurità. Necessita d’una zavorra. Aggiunge pietre spigolose che proiettino ovali perfetti.

Sistema in ingegnoso modo oggetti, aggeggi e carabattole, dopo averli dipinti col bianco, affinché non si facciano ombra l’un con l’altro, ma s’avvede che l’ombra sul piano è colorata, che anche l’oscurità è incitata dalla luce.

Scivola lentamente come figurina lungo la parete, esce dal quadro, non vuole ridursi a cosa.

Sistema le pieghe del panno accanto alla ciotola, lumeggia i pomi, vi tratteggia una conchiglia già usata in altre composizioni, poi con le ombre disegna oggetti inesistenti.

Vive in controluce, sempre cancellata, mentre il fondale prende il sopravvento.

Da un limone nasce un seno, da una piantina grassa, una ciminiera, da un pettine, alcuni rami di corallo. L’ombra alligna minacciosa in ogni consesso casuale.

Tramite inesattezze, con approssimazioni procede nel disegno. Insegue solo il colore, non bada al contorno. I passaggi tra tinte risultano sovrapposti: come se una fosse fagocitata dall’altra.

Si rifiuta di ottenere luci, alzando con del bianco. A un tratto, le chiazze brune iniziano a roteare in ogni direzione, macchiando ciascun colore, variando la forma serrata dai contorni.

Cercare, fra le ombre, quella che sembra avere maggiore densità. Sostare nei pressi, abbrunarsi. Mimetizzarsi con l’ambiente bidimensionale.

Nascondere le ombre ribelli; ammantare il corpo di un candore opalescente e respingere gli assalti di una corrodente oscurità: è una lotta impari, che si può sostenere solo finché lo sguardo non scorge il vero.

Luminarie o tenebre si accordano entrambe al ritratto. Che sia chiaro o bruno, pallido od oscuro, sarà somigliante, come un modello a un modello.

Con una diminuzione del contrasto fra i toni chiari e quelli scuri ottiene una sorta di bruma che slava il paesaggio, lo liquefa, come fosse un lontano marino.

Gli oggetti emergono solo per il contrasto luminoso che si forma sulla loro superficie immersa nell’ambiente. Astrarre non è ridurre luminosità.

Nutrire le ombre, allumare ciotole e brocche, in un contrastato digradare a scaloni, di cui lo sperequato effetto riverberi sugli occhi e sulle mani.

L’armonia ottenuta con un tenue sfumato può coesistere con il graffiante ombreggiare di utensili e vettovaglie in primo piano.

Combina tinte come se dovesse realizzare una scala di graduate ombreggiature. Usa i colori con regole autonome per cavarne memoria.

Introduce l’infinito estenuando la gradazione di una tinta.

Nella prospettiva aerea abolisce le convenzioni del chiaroscuro ottenendo una vista che indica un mondo al di là di quello reale, il mondo visto.

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Oggetti nascosti

Li ha disegnati e poi li ha zavorrati con un groviglio di linee. Dapprima, la linea compita gli oggetti, poi, riempie l’intero spazio del foglio: alcuni vasi incrostati di salsedine vi appaiono rovesciati, altri sono ripetuti. Poi li rinserra come in un pacco, una rete continua, priva di ripensamenti, con l’intento di distribuire il blu ovunque si possa. Sarebbe, il colore, più forte della linea, poiché si accampa fra le maglie della rete, le occlude in alcuni casi, in altri le slarga e in altri sprofonda trascinando sul fondo della carta la rete col pescato. Il colore difficilmente si addensa in maniera omogenea, virando, decantandosi. Il pigmento desidera finire. Boccheggia, si empie di bolle d’aria, prima di sparire fra i flutti.

 


Fotografia di proprietà dell’autrice.