Murid Al-Barghuthi – da Mezzanotte e altre poesie (Traduzione dall’arabo di Angela Mainini)

BARGHUTHIMurid al-Barghuthi nasce nel 1944 a Dayr Ghassani, vicino a Ramallah, oggi capitale de facto della Palestina situata nel West Bank. A metà anni ’60 si trasferisce al Cairo per gli studi e durante l’ultimo anno di college inizia il suo esilio: la Guerra dei Sei Giorni del 1967 con la successiva occupazione israeliana del West Bank gli impedirà di tornare in Palestina, che rivedrà solo nel 1996. Finita la guerra, per quattro anni insegna all’Università in Kuwait, e parallelamente iniziano a comparire su riviste egiziane e libanesi le sue opere in versi. Nel 1970 sposa la scrittrice e critica egiziana Radwa Ashour, conosciuta negli anni del college, con cui avrà un figlio, Tamim, nel 1977. Le loro vite, però, rimangono a lungo divise tra il Cairo, dove Radwa insegna all’Università e da cui Murid fu esiliato nel 1977, e Budapest, dove Murid fu rappresentante dell’OLP per qualche anno. Dal 1972 pubblica tredici raccolte di poesie e due romanzi, per il primo dei quali, Ho visto Ramallah (Illisso, 2005), gli fu assegnato il prestigioso premio Naguib Mahfouz nel 1997.

Murid Al-Barghuthi
da Mezzanotte e altre poesie

Traduzione dall’arabo di Angela Mainini

*

Come va?

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In attesa dell’autobus
contempla le nubi del suo respiro
condensarsi, davanti al naso, nel gelo del mattino:
lo scolaro tenta di chiudere le dita in un pugno,
e non ci riesce.

Sul cuscino del rimorso,
si rigira il soldato sconfitto.
Oziosamente
porta lo spazzolino rotto
alle labbra.

Prima o poi
si sveglia lo straniero in esilio o in patria;
i loro vestiti, le loro targhe, i loro alberi,
le loro liti, i loro amori, la loro terra, il loro mare
sono loro.
E i ricordi:
topi che si ammassano, corpo su corpo
su un quadrato di spessa tela
che pare nuova e calda,
davanti alla sua porta chiusa.

Un solo cuscino:
una signora contempla il letto del figlio maggiore,
riordinato per l’ultima volta
e vuoto per sempre.

Si sente dalla finestra del vicino una voce
Salve! Buon giorno! Come va?
E si affretta la risposta:
Salve, buon giorno! Stiamo bene.
Stiamo bene!

*

I tre cipressi

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Trasparente e fioca, come il torpore dei taglialegna
serena, avvertendo l’imminente violenza,
la rugiada del mattino
non cela questi tre cipressi sul pendio.
I dettagli ne tradiscono la somiglianza,
il loro splendore la conferma.
Dissi: “Non oserò continuare a guardarli”.
Vi sono momenti in cui il coraggio viene meno.
Esiste una bellezza che è letale per l’audacia.
Nubi corrono nell’alto
spezzando la forma dei cipressi.
Uccelli partono verso altri orizzonti
strozzandone la voce.
Si staglia il verde dei cipressi
sulla solida linea dei mattoni.
Il sol frutto di certi alberi è il loro verde.
Ieri
in una felicità inattesa
ho visto innalzarsi la loro immortalità.
Oggi,
in un’inattesa tristezza
ho visto la scure.

*

Il cuscino

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Il cuscino dice:
al termine di un lungo giorno
io solo conosco il dubbio del sicuro
e le voglie della monaca
quel leggero tremito tra le ciglia del tiranno
e l’immoralità di chi predica
e la brama dell’anima
per un corpo caldo che ne raccolga le sparse
scintille
in un tizzone ardente
e lo splendore di minuscole inezie
dai più tralasciate.
Io solo conosco
la dignità di chi perde
la solitudine di chi vince
e quello sciocco freddo brivido
di un desiderio realizzato.


Angela Mainini è nata il 29 aprile 1993 a Reggio Emilia. Fin da piccola inizia a sviluppare la passione per le lingue, per il teatro e per le diverse culture attraverso musica e danza. L’unione di questi interessi la portano a scegliere la strada della traduzione, in particolare di poesia, che coniuga la creatività della scrittura con il desiderio di fare da ponte tra una cultura e un’altra, tra un modo di pensare e di vivere a un altro. Si trasferisce quindi a Torino nel 2015 per approfondire gli studi di traduzione, presentando alla fine del biennio magistrale la traduzione integrale di un’opera in poesia dall’arabo all’italiano.

Fotografia di proprietà dell’autore.