Monia Gaita, “Non ho mai finto”, (Anteprima editoriale, La Vita Felice, 2021)
Monia Gaita è nata a Imola(BO) il 7-11-71 ma vive da sempre a Montefredane, paese d’origine in provincia di Avellino. Giornalista e critico letterario, ha all’attivo le seguenti pubblicazioni: Rimandi(Montedit-2000), Ferroluna(Montedit-2002), Chiave di volta(Montedit-2003),Puntasecca (Istituto Italiano Cultura Napoli-2006), Falsomagro(Editore Guida-2008), Moniaspina(L’Arca Felice-2010), Madre terra (Passigli-2015),libro, questo, che ha ottenuto il Premio di Letteratura allo Spoleto Art Festival 2016. Diverse le antologie che si sono occupate della sua poesia. Collabora a “Il Quotidiano del Sud” e a importanti riviste web e cartacee. La sua scrittura si connota per un uso libero della lingua che punta a coniugare lessemi ricercati e parole attinte al discorsivo in originale mescidanza. E’ direttore della Delta3 Edizioni. Porta avanti nella sua Montefredane, con la Proloco che presiede, il Premio di Cultura “Oreste Giordano”, volto a valorizzare eminenti personalità del mondo giornalistico, della poesia, della scrittura, dell’arte e della scienza.
Tre testi da “Non ho mai finto”, in uscita il 26.02.21
https://www.lavitafelice.it/scheda-libro/monia-gaita/non-ho-mai-finto-9788877996982-618454.html
Nessuna titubanza
Guardare schiudersi la porta del mattino,
le nuvole e le loro succursali
confondersi alla ruggine dei rami,
il vaso del basilico
infilato nella giacca dell’autunno.
Avverto un lieve capogiro
a estrarre come un foglio dalla tasca
questi anni:
non ho nessuna voglia di indossarli,
mi stringono sui fianchi
stupiti di trovarmi ancora in piedi.
Ignoro a quanto ammontino le perdite.
Vorrei cospargerle di nafta, farne fuoco.
Ma a regolare i conti con gli sbagli
declina la ragione e il vuoto sbocca
dove i perché affondano in un solco.
E intanto vivere
nella coscienza mezzo fradicia dei giorni,
le gambe sciolte del non più sperare
e al punto in cui la scelta si biforca
—nessuna titubanza—
percorrere una strada.
*
Quella me di prima
Stasera il vento mi sbarra gli occhi in faccia.
Vuol mettermi paura
e io rimango attonita e incerta
alla finestra.
Il vuoto è troppo largo
perché si possa scavalcarlo con un salto;
estrae col becco dai cunicoli del cielo
quattro lampi.
Avrei bisogno di qualche puntaspilli
e un paio di grosse forbici taglienti
per gli sbagli.
E rovistare tra le carte del pensiero
dà uno spasmodico singhiozzo
sopra al cuore,
è traslocare nella vecchia casa
del perduto,
guardare quella me di prima
che sibila, indelebile, tra i rami
e scruta da uno sbuffo della porta
quel che sono.
*
Provo a dimenticarti
Ho il cuore diroccato.
Si è spento tra le braccia
di quest’altra delusione
all’improvviso.
Provo a dimenticarti,
a ritornare sull’argine maestro
delle solite abitudini.
Svolto col vento
a nord e a ovest delle nuvole,
sprofondo nelle ossa oziose della stanza.
E un Dio non c’è
a rammendarmi lo strappo del perduto.
Io che non so sopprimerti
e fare sosta lontano dai tuoi arrivi.
Io che ti raspo l’oro dalle labbra,
che mi riparo dalla pioggia con l’ombrello
del tuo nome.