L’esordio di Pietro Pisano: il peso specifico della poesia

Pietro Pisano

Peso specifico dell’attimo

Oedipùs, 2020

pp.96, euro 12,00

Un poeta che sembra diviso tra sogno e realtà, tra memoria e tempo presente ma che riesce a mantenere il controllo della lingua e del pensiero e ad esordire con una raccolta poetica congetturale, quasi filosofica, e costruita in modo molto originale. Vi troviamo anche dichiarazioni metapoetiche (come quando veniamo a sapere che nell’abbraccio/ del buio con la fiamma/ si potenzia l’enigma della pagina) e molte riflessioni sul tempo: Senza racconto/ si compie una guerra/ che incrina il pensiero ed anche il tempo allora si ferma, l’armata dei secondi/ è sbaragliata da un grido. La poesia testimonia ogni evento, anche la frana interiore, gli incontri che sembrano apparizioni – Tutte le donne in una. Solo lei/ nel contagio di questa bellezza – e l’affanno del pensiero, quando camminiamo con le gambe nella testa.

La raccolta è divisa in sette parti – Senza racconto, La fine degli occhi, Turn off/on, Dove si muove il discorso, Fenomenologia dell’occhio, Queen of swords, Shifts – e ha l’ambizione di proporci un’analisi lucida sulla nostra percezione della vita, su quel che ci dicono i sensi e i sentimenti attraversati dal tempo. Una poesia che ci rinfranca con la sua fiducia nel pensiero razionale e poetante: Siamo scritti dal sangue/ versato sulla pagina:/ l’alba delle coseSe ho salvato qualche parola/ è per poter misurare il giorno,/ centimetri di veglia e antimateria. Pietro Pisano, col suo verso libero, studia dunque i cinque sensi, le tracce che lascia il tempo su di essi, sulla pelle del ricordo, sugli oggetti: vuole scoprire il regno intero dell’attimo e il suo peso specifico. Il suo fine è arrivare alle percezioni prime, quelle pure, originarie, e su di esse provare a costruire l’incontro con l’altro: noi siamo il passaggio/ tra pianeti/ solitudini/ che compongono il presente,/ il tessuto dei rapporti. Nel suo cammino il poeta si nutre di tutto, anche del silenzio, il perfetto silenzio.

I testi, specie nella quarta parte, si fanno più evocativi, anche se sempre ancorati al ragionamento, alla lezione da trarne. Nella quinta, gli occhi sono occhi che ingoiano occhi, mille occhi/ e finestre/ che spiano il mondo e si arriva perfino ad essere ‘tradotti’ dallo sguardo dell’altro: e mentre guardiamo chi guardiamo/ siamo guardati diventando/ quello che l’altro/ in noi ha visto. Le due ultime parti ci sorprendono: contengono infatti anche pagine di prosa che raccontano di un viaggio nel sogno e nel mito. Il protagonista è in balia di visioni distorte ed è costretto a scontri e duelli dove muore ripetutamente. A un certo punto leggiamo: Il mio cuscino è un supereroe, fa sparire il 90% dei problemi: basta appoggiare la guancia sopra di lui per sprofondare, dimenticare tutto, per poter anche io sollevare il mondo con una sola mano. Ma le visioni oniriche, le false percezioni, le emozioni provate, sono poi così irreali? Il sogno e la veglia appartengono, in fondo, ad un’unica realtà. Alla fine il poeta ritrova il filo del discorso e raggiunge la meta, ci dice che quel che crediamo l’altro da noi, colui che attendiamo tutta la vita, non è diverso da noi: di nessuno il lampo ai vetri/ di chi attende, atteso da se stesso l’altro siamo noi.

Antonio Fiori