LA NOSTRA CLASSE SEPOLTA, Cronache poetiche dai mondi del lavoro – Antologia a cura di Valeria Raimondi (PietreVive editore, 2019)

LA NOSTRA CLASSE SEPOLTAANTEPRIMA EDITORIALE

LA NOSTRA CLASSE SEPOLTA
Cronache poetiche dai mondi del lavoro

Antologia poetica
A cura di Valeria Raimondi

Valeria Raimondi fa parte dell’Associazione culturale Movimento dal Sottosuolo. Cura e partecipa a numerose iniziative editoriali e teatrali. Fra le altre, si segnalano, nel 2013, il Festival Sconfina(TE)menti, gemellaggio con i poeti dell’Università di Kragujevac e, con Donne A(t)traverso, il recital narrativo-teatrale sulle origini della violenza di genere: Prigioniere delle trame, liberate dalle Reti. È autrice delle raccolte IO NO (Ex-io) (Thauma, 2011) e Debito il Tempo (Fusibilia, 2014), entrambe ripubblicate con Pellicano. Altri suoi testi sono contenuti in Distanze (Fara, 2018) e nella Gazzetta dei Dipartimenti del Collage de ‘Pataphysique. Nel 2016 è stata tradotta, insieme a Beppe Costa e Jack Hirschman, per un progetto antologico italo-albanese presentato presso gli istituti universitari e culturali di Albania.

PERÒ ABBIAMO UN BEL MARE
Paola Musa

L’arsenico e la mandorla
lo zinco e il miele amaro.
Non solo il corbezzolo soffia col maestrale:
tra le narici ora vibrano metalli.
Un fango rosso e denso si rapprende
poco distante da un’acqua blu cobalto.
Fintamente fiere, si ergono le scogliere,
forate come i nostri polmoni.
Un tempo era il carbone che anneriva.
Poi venne il grigio della fabbrica,
la tredicesima, la televisione.
Accettammo il nuovo colore innaturale,
una modernità col cellofan del danno necessario.
Sopportammo la coltre fumosa tra le dune,
per il pane, perché,
questa è la dura legge.
A che giova respirare bene,
se poi non hai niente da mangiare?
Ora anche i cancelli delle fabbriche son chiusi
e un vago sentimento da schiavi
ci fa sentire abbandonati.
Saccheggiate le speranze, offeso anche il futuro,
non osiamo più guardare in faccia i nostri figli,
mentre il turista immortala affascinato
la nostra tristezza antropologica.
Ansima il vento trascinando a stento
le nostre sagome sempre più pesanti.
Che cosa siamo?
Il nostro posto non è più nel cuore della terra,
né in mezzo all’aria e a troppa luce che trafigge.
Che cosa siamo, dunque?
Umiliati, vaghiamo tra discariche
e quasi rimpiangiamo.
Con vergogna sostiamo
allo sportello della cassa integrazione.
Intanto l’angelo della morte osserva,
e lenta e silenziosa s’insinua nello scolo
che arriva fino al giardino della scuola.
Qualcuno dice che i bambini qui
non crescono per troppo piombo
e sono meno intelligenti,
che l’alluminio provoca l’Alzheimer
e consuma la memoria,
che il cadmio fa diventare pazzi.
Che cosa siamo, allora?
Siamo anime di minatori
assurti a nuova specie minerale.
Siamo pastori di pecore a più teste.
Siamo raccoglitori di grano avvelenato.
Siamo i segreti dei poligoni
con il sangue andato a male.
Siamo il popolo eletto dalla nazione
a mutazione genica.
Per l’opinione generale
però abbiamo un bel mare.

*

La risorsa umana si è spezzata in più punti…
Francesca Del Moro

La risorsa umana si è spezzata in più punti
Era poco flessibile, dicono, poco resistente
o forse è stato per via di quella parte male inserita.
Una volta sostituita si ignora la sua destinazione.
Ridenti i mercati assistono come gerani al balcone

*

ME DESPIASE
Fabio Franzin

Ieri, el kosovaro che ‘l lavora co’ mì
el me ‘à domandà se podhée prestarghe
zhinquanta euro, el se vardéa tii pie
pa’ far su ‘l coràjo de chee paròe
chissà par quant rumegàdhe – lo sa
che ‘ò dó fiòi, el mutuo pa’a casa
e tut el resto – e za ‘l savéa, son sicuro
anca ‘a mé risposta, parché no’l se ‘à
ciapàdha, sì, sì, certo, capisco l’à dita
sgorlàndo ‘a testa intànt che ‘ndessi
verso i reparti, i guanti strenti tea man.
Però mi nò che no’ lo riconossée pì
co’là che ghe ‘à tocà dir mi dispiace
proprio co’ ièra drio sonàr ‘a sirena
e no’ restéa tenpo nianca pa’a vergogna.

MI DISPIACE. Ieri, il kosovaro che lavora con me / mi ha chiesto se potevo imprestar¬gli / cinquanta euro, si guardava nei piedi // mentre formulava quella sua richiesta / chissà quanto a lungo meditata – lo sa / che ho due figli il mutuo per la casa // e tutto il resto – e sono sicuro conoscesse / anche la mia risposta perché non se l’è / presa sì, sì, certo, capisco continuava // a dire scrollando la testa, intanto che ci avviavamo / verso i reparti, stretti i guanti nella mano. / Però io no che non lo riconoscevo // quello che ha dovuto dire mi dispiace / proprio quando suonava la sirena / e non c’era più tempo neanche per la vergogna.

*

CONTESTAZIONE DISCIPLINARE
Matteo Rusconi «Roskaccio»

Si contesta al signor «poeta»
che sul posto di lavoro egli si scervella troppo
provocando il tragico rallentamento delle consegne
con dolorose conseguenze.
Si rende noto che secondo legge
la nostra legge
gli è tassativamente negato di sfarfallare
qui non è mai la stagione adatta per uno sfuggente svolazzare
si deve lavorare
senza sosta produrre
e frastornarsi con i rumori della galera.
Se si vuole un po’ di aria fresca
sarebbe meglio cercarla altrove
magari dove è concessa anche l’erba di un recinto.
D’ora in poi non saranno più tollerate
impaginazioni di corrieri sibillini
e sarà vietato a chiunque si creda uno scrittore pittore cantore
di sprecare colore per imbrattare le ore dedicate alla reclusione.
In fondo è per grazia da noi concessa
timbrare un cartellino
perdere lo status di Poeta
Quindi si richiede la massima devozione
e di scambiare il volto di Dio con quello del padrone.

*

Al mattino e un grado…
Marjo Durmishi

Al mattino e un grado
si hanno buoni propositi:
strizzare i rami dalla rugiada
lavare carote e barbabietole.

Sogno, dopo aver sognato
lungo l’intera tiepida tenebra.
Sogno di parlare
dopo non aver emesso
per ore neppure un suono
neppure con uno come me.

Al mattino e un grado
il recinto provinciale
gronda di lamenti.

Sui fili freddi, orme
e capelli di animale.