BORGHESI LAURA

Jacob Polley – inediti (traduzione di Bernardino Nera)

POLLEY

Jacob Polley nasce nel 1975 a Carlisle, città situata nella contea di Cumbria, a nord-ovest dell’Inghilterra, ai confini con la Scozia e non lontana dalla regione Lake District molto cara ai poeti romantici inglesi come Wordsworth e Coleridge. Finora ha pubblicato quattro raccolte di poesie per la casa editrice Picador: The Brink (2003), Little Gods (2006), The Havocs (2012) e l’ultima Jackself (2016), che gli è valso il prestigioso T. S. Eliot Prize 2016, conferitogli all’inizio di quest’anno. Nel 2004 è stato nominato uno tra i migliori venti poeti della “Next Generation” del Regno Unito e dell’Irlanda. Attualmente risiede e insegna all’università della città di Newcastle. La poesia The Ruin (The Havocs, 2012), che qui proponiamo nell’inedita versione tradotta in italiano, è ispirata all’omonimo componimento poetico in Old English del VII secolo, contenuto nel manoscritto Exeter Book, risalente al periodo storico inglese della dominazione anglo-sassone del paese. L’altra poesia, sempre inedita in italiano, è inclusa nella raccolta Little Gods del 2006.

Jacob Polley
(inediti)
traduzione dall’inglese di Bernardino Nera

polley 01
The Ruin

after the Anglo-Saxon

What walls and gables, wonders still of workmanship.
Whoever’s stronghold this was, havoc’s jumbled it
beyond all mending, uprooting towers, rusting together tools.
What was built by strange smiths, skilled in stone,
is burst, underdug, eaten down by age: weird bricks
litter this wasteground. And what of the wrights
and hammer-men, the mortar-mixers and heavers
of slab? A long time laid off, fast in the earth,
while their sons passed, and the sons of their sons
knew no like work. But these walls withstood
mosses and snows, the fall of kings, peace’s
indifferent wear by rain and rubbing kine.
Magogs raised them. Their wit matched their might.
Their great halls gawped. Their tile floors gleamed
with muscle girls and monster fish. Here
springs were housed, and happiness found haven
among men making merry, their shadows merging,
nimble as a change of mind, massive on the inner walls.

What happened? Ruin already had root. Plague came, within
and without. No one, however high, whatever wit,
was spared. Here, wide open to the wind, is where
breath was fought for, where men raved. Now birdsong
embroiders space among the rubble of what stood.
And the builders are broken down, bone by bone,
mindless and muddled together in the bottomless muck.
Half-recalled by these grim, rain-collecting courts,
by this unshattered span of arch, this blush of broken slate,
are those who twisted gold, empearled pins and gazed
on heaps of gems that beat and sparked. Houses were here.
Hot water sprang from wells and the walls held
vaults of steam and banked beds of embers, like precious stones.
Frost could get no grip. But all such days are gone.

La Rovina

In memoria degli Anglo-Sassoni

Che mura e che frontoni, tuttora meraviglie della maestria dell’uomo.
A chiunque fosse appartenuta questa fortezza, la distruzione ne ha fatto scempio
oltre tutti i rattoppi, torri divelte, attrezzi arrugginiti.
Quel che fu costruito da insoliti fabbri, abili con la pietra,
è distrutto, sprofondato, eroso dal tempo: strani mattoni
disseminati su questo terreno desolato. E che dire dei costruttori
i fabbri ferrai, gli impastatori di malta e i caricatori
di lastroni? Un lungo tempo sospeso, lesto sulla terra,
intanto i loro figli trapassavano, e i figli dei loro figli
non sapevano lavorare così. Ma queste mura hanno sopportato
muschio e neve, la caduta di re, il logorio
indifferente della quiete per la pioggia e per lo sfregarsi dei bovini.
I Magog li eressero. Il loro ingegno era pari alla loro potenza.
Le loro grandi sale sbalordivano. I pavimenti di mattonelle luccicavano
con ragazze muscolose e pesci giganti. Qui
le sorgenti venivano incanalate e la felicità toccava il cielo
tra gli uomini in festa, le loro ombre sfumavano
repentine come un cambiare idea, imponenti sui muri interni.

Cosa è successo? La rovina aveva messo le radici. Arrivò il flagello,
dentro e fuori. Nessuno, quantunque elevato, qualsivoglia ingegnoso,
fu risparmiato. Qui, esposto ai venti, è dove
si è combattuto allo stremo, dove gli uomini si scatenavano. Ora il canto degli uccelli
adorna lo spazio tra le macerie di ciò che è stato.
E gli artefici sono scomposti, osso per osso,
immemori e mischiati insieme nella melma senza fondo.
Ricordati a metà per questi cupi cortili per la raccolta d’acqua,
per questa campata d’arco intatta, per questo bagliore d’ardesia sfaldata,
quelli che intrecciavano l’oro, incastonavano spille e contemplavano
mucchi di gemme che colpivano e scintillavano. Qui sorgevano case.
Acqua calda sgorgava sorgiva e i muri trattenevano
volute di vapore e custodivano cumuli di brace, come pietre preziose.
Il gelo non attecchiva. Ma quei giorni sono ormai passati.

polley 02
October

Although a tide turns in the trees
the moon doesn’t turn the leaves,
though chimneys smoke and blue concedes
to bluer home-time dark.

Though restless leaves submerge the park
in yellow shallows, ankle-deep,
and through each tree the moon shows, halved
or quartered or complete,

the moon’s no fruit and has no seed,
and turns no tide of leaves on paths
that still persist but do not lead
where they did before dark.

Although the moonstruck pond stares hard
the moon looks elsewhere. Manholes breathe.
Each mind’s a different, distant world
this same moon will not leave.

Ottobre

Anche se una corrente turbina tra gli alberi
la luna non agita le foglie,
sebbene i camini fumino e il blu ceda
al blu più scuro del buio del rientro a casa.

Sebbene le foglie inondino senza posa il parco
di distese gialle, fino alle caviglie,
e la luna si mostri attraverso ogni albero, mezza
o un quarto o piena,

la luna non ha frutti, né semi,
e non fa agitare la marea di foglie sui sentieri
che ancora resistono ma che non portano
dove andavano prima del buio.

Anche se lo stagno stregato dalla luna guarda fisso
essa volge lo sguardo altrove. I tombini respirano.
Ogni mente è un mondo diverso, distante
che questa stessa luna non lascerà.

 


Jacob Polley nasce nel 1975 a Carlisle, città situata nella contea di Cumbria, a nord-ovest dell’Inghilterra, ai confini con la Scozia e non lontana dalla regione Lake District molto cara ai poeti romantici inglesi come Wordsworth e Coleridge. Finora ha pubblicato quattro raccolte di poesie per la casa editrice Picador: The Brink (2003), Little Gods (2006), The Havocs (2012) e l’ultima Jackself (2016), che gli è valso il prestigioso T. S. Eliot Prize 2016, conferitogli all’inizio di quest’anno. Nel 2004 è stato nominato uno tra i migliori venti poeti della “Next Generation” del Regno Unito e dell’Irlanda. Attualmente risiede e insegna all’università della città di Newcastle.
La poesia The Ruin (The Havocs, 2012), che qui proponiamo nell’inedita versione tradotta in italiano, è ispirata all’omonimo componimento poetico in Old English del VII secolo, contenuto nel manoscritto Exeter Book, risalente al periodo storico inglese della dominazione anglo-sassone del paese. L’altra poesia, sempre inedita in italiano, è inclusa nella raccolta Little Gods del 2006.

Fotografia tratta dal sito Bare Fiction

Bernardino Nera è docente di Lingua e Letteratura Inglese in un liceo romano e Dottore di ricerca per la stessa materia. E’ autore del testo La Scena di Liverpool: giovane poesia inglese degli anni Sessanta, (Firenze Libri, 1994), antologia di poesie dei poeti di Liverpool (A. Henri, R. McGough, B. Patten) tradotte in italiano, con introduzione critica. Ha inoltre tradotto alcuni saggi e testi letterari inclusi nel volume curato da L. Fried, Gli Ebrei e la grande Emigrazione. Alle origini della letteratura Ebraica (NEU, 2006). Nel 2009 ha pubblicato in collaborazione con Annalisa Talamo, l’opera per studenti universitari e di scuola superiore, The Liverpool Scene. English Poetry in the Sixties (Aracne Editrice). Con Floriana Marinzuli ha curato la traduzione di Rapture (‘Estasi’, Del Vecchio Editore, 2008) e l’antologia di poesie d’amore Lo Splendore del Tempio (Crocetti Editore, 2012) di Carol Ann Duffy, che nel 2013 viene insignito del Premio Nazionale di Poesia e Traduzione Poetica ‘Achille Marazza’