“Taccuino dell’urlo” di Sonia Caporossi (Marco Saya Edizioni 2020), è uno di quei libri di cui i Photocopy Poets dovrebbero fare tesoro. Qui si può desoggettivizzare rendendo però universali, ovvero arrivando all’interno del soggetto, i protagonisti del testo. Il “lui e lei” sono sintagmi dinamici e operanti a cui dare, ciascuno, una propria configurazione e per questo unici per ogni lettore. Una solidissima architettura è colonna vertebrale in cui la Caporossi dissemina indizi e deviazioni, da scoprire e comprendere. A differenza di altri che hanno parlato di questo bel libro, dando la propria interpretazione sempre rispettabile, credo che la piccola chiave di lettura sia contenuta in “Indizi”: -Non è un caso che la tavola del test di Rorschach che figura in copertina è la numero 5: il rapporto con la realtà-.
Certo è che un substrato filosofico scorre nel Taccuino ma non è questa la filigrana e ciò che emerge è la dialettica tra soggetti: io-altro da me-poesia-oggetto-parola.
In più l’ultima poesia del libro, (omega), sembra proprio uno stemma codicum posto al finale di un percorso testuale denso, ricco di riflessioni e fughe che continuano ad intrecciarsi senza soluzioni di continuità. L’urlo è anche l’ululato delle nostre solitudini affollate.
(alfa )
«ho visto l’abisso in un altro
la zona in cui non vuoi stare
si infrange sul muro bagnato
del mare
per tutte le tue sicurezze
insicure
dal limite scabro del luogo
che per coercizione ti ostini a abitare
ho visto il riflesso di un altro
nel sole
nell’ombra di un fiore reciso
che pare
dismesso dall’onda del tempo
che inutile scorre invissuto
e attrae
lo spirito nell’indolenza
pigrizia del dire e del fare
ho visto l’influsso di un altro
sul cuore
che imbelle s’offende al contatto
del dare
respinto da echi ormai spenti
che vacui rinviano parole
d’amore
inascoltate al mittente
per quanto il ritorno alla gioia
si mostri nell’eventuale
ho visto l’ossesso nell’altro
nel dimenticare
quand’anche, sebbene, ancorché
ricordi di lei solo il male
nell’imprecisione coatta
dell’analizzare
ho visto l’abisso di un altro
quel luogo in cui vuoi ancora stare
perché prima o poi, quel poco o quel tanto
almeno, circuìto dal bene
ripenserai il fallimento
e tutte le anemiche colpe
che puoi enumerare
son sempre dell’ego di un altro
nell’ipocrisia
di questo industriarsi a non fare.»
XIX.
ora non fugge la militanza della parola
per prolessi orizzontale, torna al senso rivelato
che lo porta alla follia dei suoi vuoti di memoria
e ricorda ormai solo l’abito più vero
quando smetteva i panni del diletto
caracollando inerme sulle sue stesse ipocrisie
:: lui la vuole ancora
così ritorna intero, pregno e intonso al verso
nel setaccio del suo amore ammalato e senza fiato
«giacché inutili già siamo, senza poi mezze misure:
nella moltiplicazione di ogni infausta divisione
nella reduplicazione di ogni mortificazione
non c’è scusa, al giorno d’oggi, all’indolenza del poeta.»