Vuoto frontale di Sabrina Amadori (Capire edizioni collana Cartacanta) è un libro molto delicato, che si offre in punta di piedi senza far troppo rumore. Devo dire che, la Amadori utilizza una scrittura piana, “onesta” e lineare. Lo schianto verso il vuoto è una ferita in cui il dolore sembra leggero, un’offerta votiva fatta ai lettori con discrezione, non per “pietire” o per captatio, ma simbolicamente pura.
Il vuoto è davanti, il silenzio, l’inverno e i corpi lo avvolgono, lo aggirano, lo concupiscono per violarlo, nel tentativo, poetico, di riempire attraverso crepe, quel niente che ci accomuna. Lavorando ancora per l’eliminazione di certi stereotipi, pur se affrontati qui in maniera efficace, la Amadori potrà riservare nel futuro molte sorprese di altissimo livello.
Tutto occupa una posizione
anche la sera che si ricompone
nel silenzio degli oggetti.
Torniamo in tutte quelle cose
obbligate a prendere un posto,
l’ombra della casa
come misura del passo
che lascia aperta la strada
confine del corpo
che si abitua a perdere.
Gli occhi sono pareti
vetri, fiumi spezzati
si resta appesi a un urlo
il cuore luce e tempesta
dall’altra parte è tutta foresta.
Quando scenderemo
in silenzio
la nostra corsa
resteremo negli occhi
il corpo è una stanza vuota.
Quando mi fiorivi dentro
e il tempo lasciava spazio
all’incanto del sonno
ritornavamo respiro caldo
nel patto delle vertebre distendersi
sul profilo bianco delle lenzuola,
nell’abbraccio calmo che copre
gli strappi della voce
il fondo nero del cuore che apre.