Edna St. Vincent Millay – Sonetti (a cura di Laura Klinkon)

MILLAYLa poeta Edna St. Vincent Millay (1892-1950) fu la più grande di tre sorelle in una famiglia povera, appena sostenuta da sua madre, infermiera itinerante divorziata. Da giovane, ha vissuto vere estremità nella glaciale regione costiera del Maine. Però, è rimasta salva dovuto al talento e alla forte volontà—sia di lei che di sua madre. Per di più, le è stata conferita una borsa di studio universitario da una generosa donna ammiratrice.
Con questi, è salita ad altezze eteree nel mondo della poesia, durante un arco che incluse la prima guerra mondiale, i movimenti americani che produssero leggi di proibizionismo, divorzio, e suffraggio femminile, e gli enormi progressi che indussero agli “anni venti rombanti.” Dalla zona piuttosto remota di Camden, Maine, Millay nel Greenwich Village di New York nel secondo decennio del novecento si è di colpo trovata levitata al ruolo di astro della modernità.
Ci si può ben domandare, come si svolgono e come si fa fronte a rapide trasformazioni nella vita personale come nella vita sociale? Nel caso di Millay, è andata subito avanti a forza del suo comportamento teatrale e alquanto civettuolo o magari palesemente intimo con persone influenti, insieme, però, al lavoro sodo, e l’aria che si dava di una convinta donna liberata, un’immagine largamente diffusa tramite la crescente voga delle riviste nazionali. Dichiarava apertamente le sue ambizioni artistiche, disprezzava il ruolo di moglie e casalinga, e abbracciava la libertà sessuale e passionale—anteriormente dominio degli uomini. La risultante figura pubblica insieme al suo innegabile talento mostrato in alcuni volumi di poesia, le meritarono il Premio Pulitzer del 1923.
Le poesie di Millay con anche la sua biografia possono essere quasi percepite come testi sulla liberazione della donna, sia dai punti di vista psicologici e comportamentali della donna, sia dalla perspettiva dell’effetto passionale e sociale sugli altri che l’amavano. Dal punto di vista poetico, Thomas Hardy aveva detto che i sonetti di Millay uguagliavano l’eccellenza architettonica dei grattacieli di New York.
I sonetti qui tradotti sono fra i primi della raccolta Fatal Interview (Colloquio Fatale) pubblicata dopo che Millay aveva vinto il premio Pulitzer, e scritta mentre la poeta si era coinvolta in un’avventura extra-coniugale con un giovane alquanto moderato e riluttante. Nella storia di fondo che si trova nelle biografie, l’avventura passionale si presenta come una necessità artistica—il bisogno di una musa—mentre l’atteggiamento di suo marito, Eugen Boissevain, si rivela come credente idealista nella libertà delle donne e come sostenitore del “matrimonio aperto.” Lui accetta che la Millay soddisfi le sue esigenze artistiche—anzi, partecipa, sebbene talvolta con molto disagio, nella sua “sperimentazione.”

Introduzione a cura di Laura Klinkon

Edna St. Vincent Millay
Sonetti da Fatal Interview (Colloquio Fatale)

Tradotti da Laura Klinkon

 

X

Strange thing that I, by nature nothing prone
To fret the summer blossom on its stem,
Who know the hidden nest, but leave alone
The magic eggs, the bird that cuddles them,
Should have no peace till your bewildered heart
Hung fluttering at the window of my breast,
Till I had ravished to my bitter smart
Your kiss from the stern moment, could not rest.
“Swift wing, sweet blossom, live again in air!
Depart, poor flower; poor feathers you are free!”
Thus do I cry, being teased by shame and care
That beauty should be brought to terms by me;
Yet shamed the more that in my heart I know,
Cry as I may, I could not let you go.

Strano che io, per mia natura niente portata
A vessare il bocciolo d’estate sul stelo,
E, accorta del nido celato, lascio stare
Le uova magiche e l’uccello che le cova,
Manchi pace finché il tuo cuore sbigottito
Non si sia appeso svolazzando alla mia finestra,
E io non abbia rapito a mio amaro rimpianto
Il tuo bacio, e che non riposi fino a quel momento.
“Ala rapida, dolce fiore, vivi ancora in aria!
Vai via, povero fiore; povere piume siate libere!”
Così piango, infastidita da vergogna e dalla coscienza
Che bellezza sia costretta ad umiliarsi per mano mia;
Tanto più sto mortificata che in mio cuore lo so,
Pianto o no, non posso lasciarti andare.

I

What thing is this that, built of salt and lime
And such dry motes as in the sunbeam show,
Has power upon me that do daily climb
The dustless air?—for whom those peaks of snow
Whereup the lungs of man with borrowed breath
Go labouring to a doom I may not feel,
Are but a pearled and roseate plain beneath
My wingéd helmet and my wingéd heel.
What sweet emotions neither foe nor friend
Are these that clog my flight? what thing is this
That hastening headlong to a dusty end
Dare turn upon me these proud eyes of bliss?
Up, up, my feathers!—ere I lay you by
To journey barefoot with a mortal joy.

Che cosa è questo che, fatto di sale e calce
E di granelli aridi che si scorgono nei raggi del sole,
Vuol trattenermi, che scalo giornalmente
L’aria pura?—Me, che quelle altezze nevose
Dove i polmoni umani con respiro stentato
Faticano verso un fine per me incomprensibile,
Colli che a me paiono semplici pianure perlate e rosate sotto
L’elmo mio alato e i miei talloni alati.
Che dolci emozioni non nemici né amici
Sono questi che m’ingorgono il volo? Cos’è questo
Che affrettandosi a capofitto verso una meta confusa
Osa voltarmi quei occhi orgogliosi di gioia?
Subito, su, le mie ali!—prima che vi rinuncio
Per vagare scalzo in estasi mortale.

III

No lack of counsel from the shrewd and wise
How love may be acquired and how conserved
Warrants this laying bare before your eyes
My needle to your north abruptly swerved;
If I would hold you, I must hide my fears
Lest you be wanton, lead you to believe
My compass to another quarter veers,
Little surrender, lavishly receive.
But being like my mother the brown earth
Fervent and full of gifts and free from guile,
Liefer would I you loved me for my worth,
Though you should love me but a little while,
Than for a philtre any doll can brew, —
Though thus I bound you as I long to do.

Consigli che non mancano da scaltri e savi
Su come acquistare e conservare l’amore
Mi permettono di svelare davanti ai tuoi occhi
Il mio ago che di scatto sbanda verso il tuo nord;
Se voglio tenerti, devo nascondere la mia paura
Che tu sia incostante, ma spingerti a credere che
La mia bussola verso un altro quadrante giri,
Arrendere poco, accettare in abbondanza.
Ma io sono come mia madre la terra proficua
Sincera, piena di doni, e niente scaltra,
E preferirei che mi amassi per mio merito,
Anche per breve tempo amandomi,
E non per via di filtri infusibili da ogni pupa,—
Anche se così ti legassi, come tanto desidero.

VIII

Yet in an hour to come, disdainful dust,
You shall be bowed and brought to bed with me.
While the blood roars, or when the blood is rust
About a broken ENGINE=, this shall be.
If not today, then later; if not here
On the green grass, with sighing, and delight,
Then under it, all in good time, my dear,
We shall be laid together in the night.
And ruder and more violent, be assured,
Than the desirous body’s heat and sweat
That shameful kiss by more than night obscured
Wherewith at length the scornfullest mouth is met.
Life has no friend; her converts late or soon
Slide back to feed the dragon with the moon.

Eppure in un’ora a venire, sprezzante polvere,
Sarai piegato e portato a letto con me.
Mentre romba il sangue, o quando esso sarà ruggine
Intorno a un motore rotto, questo si avvererà.
Se non oggi, più tardi; se non qui
Sull’erba verde, con sospiri e diletto,
Obbene sotto di essa, a tempo debito, caro mio,
Saremo stesi insieme nella notte.
E più grezzo e più violento, sii sicuro,
Del caldo e del sudore dei bramosi corpi
Sarà quel bacio vergognoso da più di notte celato
Dove, infine, la più sdegnosa bocca si affronta.
La vita non ha amici; i suoi convertiti prima o poi
Scivolano indietro per sfamare il drago con la luna.

La fotografia e i sonetti I, III, VIII, e X da Fatal Interview di Edna St. Vincent Millay sono ripubblicati per gentile concessione di Holly Peppe, Literary Executor, The Millay Society (millay.org).


Laura (DiLiberto) Klinkon è italo-americana, essendo emigrata dalla Sicilia a cinque anni. All’Università di Pittsburgh e all’American University di Washington, si è laureata in lingue e lettere, poi arricchendo i suoi studi con altri corsi universitari, sempre in lingue e lettere. Di seguito alla sua vita lavoratrice nei campi di redazione e traduzione, nel 2004 si è pensionata, dedicandosi alla poesia. Ha pubblicato un volume delle sue poesie nel 2013 e due chapbook nel 2017. L’anno scorso è uscita una sua prima raccolta in italiano di sonetti di Millay, The Silent Lyre/La Lira Silente. (Si veda Amazon.) Un’altra raccolta, con sonetti della Millay dal volume Fatal Interview (Colloquio Fatale), da cui i quattro qui sopra, si prevede per 2019.