Davide Brullo “Gries” (Nino Aragno, 2019) – Lettura di Clery Celeste

BRULLO GRIES COPERTDavide Brullo – “Gries” (Nino Aragno editore, 2019) 

Lettura di Clery Celeste 

La poesia di Brullo non ci fa stare sereni. Se volete una poesia che non chieda, che non scavi nel dubbio, che non vi bruci, leggete altro, non leggete niente di Davide Brullo. Gries è una narrazione in versi che chiede continuamente attenzione, che passa dalla visione alla denuncia, alla folgorazione. Brullo è un creatore di mondi, dalla parola fa nascere creature animali e umane che convivono tra realtà e simbolismo.

I livelli di lettura di ogni singolo verso possono essere molteplici e contemporanei, la poesia di Davide ti trascina un verso dopo l’altro in questa foresta intricata di immaginazione. Non è però un verso che procede solo per costruzione di immagini: Brullo inserisce dialoghi, frasi che sono folgorazioni e denunce dal tono profetico. Stiamo assistendo all’utilizzo più delicato della parola, l’enunciato è un monito continuo. Nell’esatto momento in cui ci stiamo immergendo tra ghiacciai e giaguari ecco che irrompe un verso che apre la pagina, siamo costretti a tornare indietro. Come siamo arrivati a questo? Quando Brullo ci fa sentire al sicuro nella sua visione, la stiamo finalmente abitando anche noi, è esattamente quello il momento della caduta, e nella caduta o sentiamo freddo o sentiamo troppo caldo. Nella sua poesia non si sta comodi, non si sta mai a proprio agio.

La parola fa anche questo, ci rende i luoghi inospitali, ci ricorda costantemente che altri possono essere i mondi interiori e tanto complicati, che “la lingua è grossa come un rospo – dovrai/ sacrificarla nell’ascia dei no – un volto decomposto/ dai cristalli selezionerà l’acuto del secolo?” La lingua di Brullo è “impervia” e ce lo dice lui stesso, sembra di andare in un percorso su roccia: metti i ganci di sicurezza e ti spingi con fatica verso l’alto, i calli e i tagli nelle mani sono la testimonianza del percorso, se davvero in cima ci sai arrivare. La scalata però è a testa in giù “chi ama d’altronde non ama/ la luce ma la profondità”. La poesia di Davide Brullo andrebbe recitata a voce alta, ancora meglio se è lui stesso a farlo per voi, sentire i versi che arrivano addosso come cascate sonore, una parola che se pronunciata porta a compimento le cose, il suono che fa vibrare la catena ossiculare e si intrappola dentro di voi.

Questa di Brullo è una poesia di rivelazione “perché la rivelazione è questa/ i morti non amano – e noi li amiamo/ per consolidare la vita e dare/ un padre alle nostre scelte”; a versi come questi dobbiamo per forza fermarci, cercare i nostri morti, amarli. Sono sentenze questi versi, la poesia di Davide non ci fa stare tranquilli, chiede di venire ai ferri corti con i nostri nuclei imprecisi, coi nostri morti, con la nostra materialità secca e priva di slancio.