da Atelier 83 – Matteo Fantuzzi, “In zona retrocessione”

A 83

 

da Atelier 83 “La necessità di una comunità recettiva”

 Matteo Fantuzzi – In zona retrocessione 

 

 

Se qualcuno si affacciasse agli avvenimenti delle ultime settimane nel mondo della poesia italiana non troverebbe particolari novità dal punto di vista editoriale quanto piuttosto il solito coro di voci critiche al limite del catastrofismo sullo stato dell’arte in particolare delle ultimissime generazioni. Il cuore di quello che viene sottolineato dai commentatori non è certamente sbagliato e una rivista che da vent’anni lavora sulla militanza letteraria non può fare passare la cosa in cavalleria: ragionando su un articolo di Renzo Paris uscito lo scorso 8 Luglio su Il Venerdì di Repubblica dal titolo “Ma l’Italia ha ancora una antologia dei suoi poeti” basato sulla lettura del libro di Stefano Guerrero uscito per le Edizioni dell’Asino “I nostri poeti. Antologia civile essenziale dell’Italia repubblicana”, Roma 2016 mi ero permesso di fare notare come i nuovi poeti abbiano deciso di non misurarsi con una poesia che fino a poco tempo fa aveva fatto importante e rispettato il nostro Novecento, che aveva introdotto una sostanza oltre al tecnicismo formale, che aveva raccontato un modo, una storia, un paesaggio, una società. Ma questo non per “uscire dal Postmoderno”, sembra davvero un’arresa, la vittoria del canarino di Saba e una sconfitta globale che deve destare preoccupazione perché per troppo tempo alcuni si sono concentrati su questioni sbagliate, e ancora oggi decisamente accade nel momento in cui ostinatamente ci si continua a concentrare sul metodo invece che sul merito.

Le mappature, il clima solidale che si respira in determinati festival, la volontà finanche maieutica che si contrappone alla violenza, alla rigidità, a una difesa ostile della propria posizione non è di per sé sufficiente a creare una buona poesia, significa piuttosto creare un terreno capace di fare crescere buoni frutti, ma buoni frutti che per mancanza d’acqua e nutrimento potrebbero non nascere. E che in effetti non stanno nascendo. Leggere chi oggi ha venticinque anni avendo in mente gli esordi di alcuni decenni fa potrebbe davvero fare girare la testa: aveva 23 anni Valerio Magrelli all’uscita di Ora serrata retinae per Feltrinelli e 30 per Nature e venature da Mondadori, 31 anni Maurizio Cucchi con Il disperso da Mondadori, 25 anni Milo De Angelis quando da Guanda esce Somiglianze, 32 quando da Einaudi esce Millimetri, 28 anni Fabio Pusterla per Concessione all’inverno, 32 quando Marcos y Marcos pubblica Bocksten e potrei continuare tranquillamente ma per brevità credo che sia giusto per raccontare il clima anche successivo, quello degli anni in cui è nata anche la stessa Atelier ricondurre a un testo come “Nuovi poeti italiani contemporanei” curato dall’allora 32enne Roberto Galaverni e uscito per Guaraldi nel 1996. Volutamente in questo passaggio voglio saltare il lavoro fatto dalla nostra rivista, i tanti esordi prodotti con la casa editice Ladolfi, lo voglio fare per fare capire quanto creda che il problema non sia di chi fa le cose ma complessivo anche se credo vada sottolineato come sia erronea (proprio per il lavoro fatto da noi e tanti altri specializzati) l’analisi di chi crede che il nodo del problema sia da imputare alla mancata attenzione, sempre maggiore delle grandi casi editrici verso la nuova poesia: perché il punto è che perché una buona poesia venga pubblicata, al netto di dove questa è pubblicata, la buona poesia va scritta. E questo è il centro del problema.

Se oggi a una lettura di giovani poeti per un secondo chiudessi gli occhi, al netto del timbro della voce o delle inflessioni dialettali difficilmente troverei delle corpose differenze, le divisioni potrebbero al massimo inserirsi in termini di linea, ma non nella proposta e soprattutto non nella progettualità. Il rischio di omologazione è in questo momento ampio: un’omologazione che ha alzato è indubbio di qualche punto percentuale il livello medio della nostra scrittura poetica ma non abbastanza per sancire eccellenze e anche chi pensasse di considerarsi un talento dovrebbe rendersi conto che nel calcio come in qualsiasi altro sport di squadra le partite non si vincono anche in una squadra piena di talenti se le cose non girano, se i preparatori non hanno predisposto tutte le questioni (tecnica, tattica, atletica) in maniera minuziosa ma soprattutto se non sono riusciti a farsi intendere fin dai movimenti basilari. Siamo sicuri ad esempio che tutti i libri sopra citati siano stati letti ? Siamo certi che le riviste che ancora in Italia cercano una visione complessiva, uno sguardo per raccontare il presente ma soprattutto per indicare il futuro siano degnamente frequentate non solo nella versione on-line, più smart, ma nella parte cartacea di approfondimento ? E ancora: siamo certi in questo momento di accorgerci di essere destinati se le cose non cambiano, se l’impegno nostro non cambia, alla retrocessione dopo anni ai massimi livelli internazionali come una di quelle nobili squadre decadute che si portano dietro il blasone del nome, i trofei vinti, i tempi lontani ma che oggi faticano a restare a determinati livelli. Se saremo capaci di accorgerci di tutto questo probabilmente riusciremo a salvarci e ricominceremo a ricostruire il futuro, altrimenti la serie B non è più così lontana e saremo noi ad avere deciso il nostro destino.

Come rivista Atelier abbiamo compiuto una scelta: non assecondare questa levità quanto piuttosto continuare ad alzare l’asticella cercando di essere uno stimolo e non un freno. E’ la strada più difficile ma che negli anni ha saputo consegnarci i risultati che cercavamo e che continuiamo tutt’ora a cercare, in questo senso va considerata anche l’aumentata attenzione per le scritture internazionali, dialogo che esce dai nostri confini per utilizzare le migliori esperienze internazionali come punto di riferimento.

Abbiamo deciso di affrontare le nostre criticità prima che sia troppo tardi e accorgersi che vanno presto introdotti dei meccanismi correttivi e degli esempi virtuosi (contemporanei e del tempo recente) non è qualcosa di così lieve, significa rendersi conto delle proprie debolezze e agire per cercare nuova forza nei propri muscoli. Coi migliori auguri perché va detto, potremmo anche fallire, dipende da noi, dalla nostra volontà e dalla nostra maturità.

Matteo Fantuzzi

 

estratto dall’ultimo numero (Atelier 83). Info, qui