Carmine De Falco
Meduse di Dohrn
Bertoni, 2020
pp.117, euro 12,50
Prefazione di Luca Ariano
Postfazione di Ferdinando Tricarico
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Le meduse del titolo sono, fino ad oggi, gradite ospiti della Stazione Zoologica ‘Anton Dohrn’ di Napoli, ma resisteranno ai cambiamenti climatici? E la più famosa Sirenetta sopravviverà? E noi stessi? Il poeta si fa carico non solo di queste domande ma anche di farci conoscere le ‘Poesie del dopo disastri annunciati’ (così è intitolata la prima delle tre sezioni della raccolta). Non si tratta però di poesie riconoscibili subito come tali, bensì – come nota Ferdinando Tricarico nella postfazione – di sequenze e segnali, con i quali il poeta esce volontariamente dai canoni di sensatezza della lingua per riportarci, da un prossimo futuro, quanto è già oggi prevedibile e ci ostiniamo invece a non pre-vedere. Il linguaggio è dunque sostanzialmente apoetico, senza ancoraggi sicuri, e ci parla con slittamenti continui di significato, riversando dal futuro le verità già annunciate nel presente, ovvero le catastrofi dello scioglimento dei ghiacciai, della deforestazione amazzonica, della desertificazione, dei modelli di vita consumistici: “Ci fotterà questo essere buoni”, dice a un certo punto il poeta, “La decrescita avverrà per disfunzione/ La nostra razza non sa tornare indietro nel tempo./ Ma qui rondine non c’è. Sui crepacci spaccati del sole”, e ancora: “Hai la certezza dell’eterno presente/ che ci sia sempre/ una soluzione che spinga/ l’esistenza più in là.” E scopriremo che i disastri annunciati non sono stati evitati.
Carmine De Falco non è solo un poeta, è anche cittadino italiano in Danimarca e nella seconda sezione, ‘Quadre danesi’, prova a mettere insieme fatti ed idee per decidere se il proprio personale futuro sia da costruire in quel paese – ma è “in bilico tra dubbi e restare”. Lui cerca d’essere razionale, di risolvere il problema ma la ponderatezza e i calcoli non l’aiutano molto se in una poesia afferma: “Non si può vivere il luogo che vogliamo/ Se la somma della sua desiderabilità/ E’ data dalla distanza per la differenza.” L’inserimento nella comunità risulta difficile: “E tutto sale da un vociare da cui ti senti escluso// Non escono in gruppi misti/ Non sanno cucinare/ Non danno una mano se non chiedi/ Hanno pochi amici fidati per sempre.” Dopo molti disorientamenti, sembra però prendere confidenza con la capitale danese (anche se s’accorge che la poesia non basta, che “La poesia non sa più raccontare/ Niente di più/ Di una serie TV”) e s’accorge che si partecipa tutti a un gioco di ruoli, spostandosi da un luogo all’altro: dalle spiagge nudiste divise per genere al termovalorizzatore di Glostrup, dai luoghi del divertimento a Kirkegardsvej e “Copenaghen resta l’immagine di luce”. La sezione si conclude con una poesia agrodolce in napoletano che omaggia in qualche modo Copenaghen ma che, nell’ultimo verso, denuncia “ca sto munno ‘o stammo sfracelanno.”
‘Sature’ è il titolo della terza ed ultima sezione. Qui – sotto il titolo montaliano – incontriamo molta prosa poetica, sotto forma di commenti a mostre d’arte, diari di vacanza, dialoghi (forse) immaginari. Il libro si chiude con la premonizione della nostra fine: “così sprezzanti, scivolando lungo i bordi/ ci vedremo morire isolati// ci lasceremo estinguere così. Perché è così/ che si muore. Senza cure// gettiamo la spugna impotenti ai microbi iperresistenti…” Ci troviamo d’accordo, a lettura ultimata, con quanto dice Luca Ariano nella prefazione: ‘Potremmo definire certi quadri una sorta di racconti fantascientifici in versi’ nei quali però – aggiungiamo – realtà e futuro si confondo spesso perché le catastrofi sono già cominciate.
Antonio Fiori
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Prendiamo la terra ne vogliamo
Sempre più la terra preda trasformata
Questa, spine di villette metallari
Pesanti che si schiacciano la schiena
Sotto trucioli di alberi imboscati
Tutti i malandrini con le doglie
Di parti non voluti dal creato
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Rilasciate queste chimiche dannose
Dannose, come femmine ancestrali
Che minacciano le mura di spaccare
Legna che raccolgono i residui
Dei grigiori ritrovati dentro i piani
Di sviluppo rurale urbanizzato
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Bisognerebbe abolire l’avversativa, la sua pretesa di innocenza
Congiunzione preferita di un popolo subordinato, ma
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Nuvole basse dividono l’aria, sfilacciano il treno
A gran velocità in fuga tagliando
Un paese molesto, la sua inettitudine
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E’ lungo il viaggio, come la speranza
Di un fallimento che ti ancori al mondo.
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Sul biglietto mi hai scritto
Il prossimo luglio ti porto a giocare a bocce sulle spiagge di Parigi
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Carmine De Falco (Napoli,1980), esperto di comunicazione digitale, collabora con l’Agenzia Europea dell’Ambiente a Copenaghen. Ha pubblicato, Linkami l’immagine (Fara, 2006), Italian Day (Kolibris, 2009), I Resistenti, con Luca Ariano (edizioni d’If, 2012), Città bianca (in Zenit poesia, La Vita Felice, 2015). Suoi testi sono presenti in numerose riviste, tra cui Trivio, Levania, Le voci della Luna e in diverse antologie poetiche.